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Quando si affronta il dibattito sull’istruzione nel Medioevo italiano, le ricerche sulle istituzioni universitarie hanno, da sempre, suscitato un interesse centrale fra gli addetti ai lavori, tale da renderle oggetto di specifici corsi di studio in molti atenei italiani1 e non, e che hanno prodotto una ricca ed articolata bibliografia di riferimento; senza andare troppo in là con gli anni, basterà ricordare i fondamentali contributi scientifici di Jacques Verger, Le università del Medioevo, Bologna 1982, La nascita delle università, a cura di Gian Paolo Brizzi e Jacques Verger, 6 voll., Milano 1991-96, Saggio sull’università nell’età del diritto comune, Catania 1979 di Manilo Bellomo, o ancora Le origini dell’università, a cura di Girolamo Arnaldi, Bologna 1970 e Antiche università d’Europa. Storia e personaggi degli atenei nel Medioevo, di Franco Cardini, Maria Teresa Fumagalli Beonio-Brocchieri, Milano 1991.

Diversamente invece, le ricerche su quella che oggi chiamiamo l’istruzione “primaria” e “secondaria” sono state concepite a lungo come marginali e subalterne rispetto alla storia della scuola superiore o universitaria, o comunque inserite in contesti di ricerca sulle istituzioni politiche e religiose, sulle città, sulla società e sulla cultura, e, solo in anni a noi recenti, la scuola di base ha finalmente assunto la giusta rilevanza nel filone di studi sull’Italia medievale, divenendo un fecondo terreno di confronto fra gli storici medievisti.

L’obiettivo che mi propongo, dunque, nel presente capitolo, è quello di offrire una introduzione storiografica al problema della scuola di base a titolo esemplificativo, senza pretesa di esaustività, concentrandomi sulle realtà italiane e cercando di rispettare l’ordine cronologico delle pubblicazioni selezionate, che sono necessariamente quelle maggiormente segnalate dagli studiosi e a cui intendo ispirarmi.

La storia della scuola nell’Italia medievale dalle origini agli ultimi decenni

Le prime ricerche sulla scuola nell’Italia medievale risalgono al XVIII secolo e riportano la firma di eruditi imprescindibili come (1672-1750), le cui trattazioni hanno a lungo caratterizzato le successive indagini sulla formazione scolastica. Nelle sue Antiquitates Italicae Medii Aevi Muratori raccoglie un gran numero di testi storici medievali, tra cronache, diplomi di sovrani, testi normativi e memorie letterarie, sottoponendoli a una revisione critica e filologica tesa a illustrare i costumi, le istituzioni, la cultura e la religione della società medievale italiana. Dopo di lui, il gesuita Girolamo Tirbaoschi (1741-1797), in qualità di prefetto della Biblioteca Estense di Modena si dedica ad una ricerca sulle forme di istruzione medievali, in particolare nel suo Discorso storico preliminare II – Delle pubbliche scuole con un analogo approccio razionalistico e senza preoccuparsi di distinguere il discorso sull’istruzione primaria da quello relativo agli studi superiori.

È solo nel Romanticismo europeo che si produce un rinnovamento nel campo della metodologia storica: lo storico ora non si attiene più solamente all’analisi critica delle fonti documentarie, ma tenta di comprendere il significato dei processi di formazione di una specifica identità nazionale durante il Medioevo, e in questo rientra anche lo studio delle manifestazioni culturali e le forme di istruzione. In quest’ottica, per una piena affermazione dell’autonomia degli studi sull’istruzione nel Medioevo italiano, due contributi fondamentali interamente dedicati alle tematiche scolastiche, sono: L’istruzione in Italia nei primi secoli del Medioevo di Friedrich Wilhelm Giesebrecht (1814-1889), del 1895 e, sempre dello stesso anno Le scuole e l’istruzione in Italia nel Medioevo di Antoine Fréderic Ozanan (1813-1853). Entrambe gli autori, dopo un accurato lavoro di carteggio in vari archivi italiani, propongono un’analisi dei tratti distintivi delle forme di istruzione dei primi secoli del Medioevo ritenuta imprescindibile ai fini di una corretta comprensione della società medievale italiana. Divenute un costante punto di riferimento per le successive ricerche sulla storia della scuola medievale, queste due opere pionieristiche puntano l’accento sul peso che la cultura classica ha esercitato sulle varie forme di istruzione nell’Italia medievale.

L’introduzione della storia come materia di studio nelle università italiane a partire dalla seconda metà del XIX secolo, ha moltiplicato le occasioni di confronto e studio fra la cerchia dei medievisti italiani in un’ottica strettamente positivista; è così che i circoli accademici delle maggiori università italiane, promuovono ricerche finalizzate non più soltanto all’acquisizione e all’edizione critica delle fonti, ma anche alla ricostruzione degli organismi istituzionali, incluse le istituzioni scolastiche chiarendone anzitutto gli aspetti giuridici e gli aspetti istituzionali. Così ad esempio, ne L’istruzione pubblica in Italia nei secoli VIII, IX e X del 1898,Giuseppe Salvioli (1857 – 1928), pur non trascurando il ruolo svolto dalle istituzioni religiose in campo educativo in epoca tardoantica e medievale2, dopo aver descritto l’emergere delle istituzioni scolastiche cittadine, pone l’interesse intorno agli aspetti istituzionali del problema della scuola e alla storia della legislazione scolastica, in un discorso di continuità nei confronti della tradizione classica, allo scopo di affermare la preminenza intellettuale degli Italiani rispetto agli altri popoli europei, tanto da affermare che «nella sua cultura il medioevo è romano»3 . Inoltre, per la prima volta vengono messe in luce alcune tematiche divenute poi di interesse cruciale in anni a noi più recenti, come i problemi relativi alla condizione socio-economica dei magistri4, al funzionamento dell’attività didattica all’interno dell’istituzione scolastica fino al tema all’istruzione femminile5.

Dopo di lui Giuseppe Manacorda (1876-1920) pubblica nella collana «Pedagogisti ed Educatori antichi e moderni»6, diretta allora da Giuseppe Lombardo Radice (1879-1938) la Storia della scuola in Italia del 1913 in cui, dopo l’analisi delle condizioni strutturali e normative delle scuole italiane nelle diverse fasi del Medioevo, approfondisce gli aspetti contenutistico-metodologici, fino ad allora trascurati dagli storici della scuola medievale, come «le condizioni morali, intellettuali ed economiche dei maestri e degli allievi, i programmi, i metodi didattici, la disciplina, i libri e la suppellettile stessa della scuola»7. Una specifica sezione del suo testo, intitolata Storia interna della scuola medievale italiana, è infatti dedicata ai protagonisti della scuola medievale, ovvero i maestri, ma nella sua trattazione trovano spazio anche gli scolari, vi è una presentazione dei programmi e dei metodi didattici, nonché delle aule di studio e le biblioteche e, infine, un discorso sugli «ars dictandi» ovvero sui testi scolastici impiegati; a quest’ultimo aspetto in particolare è dedicato un meticoloso lavoro di schedatura in appendice in cui sono elencati, divisi per categoria e con tanto di datazione, collocazione e riferimenti bibliografici, i testi di grammatica e retorica, i glossari, i classici latini, i testi di geometria, aritmetica e computo e i testi giuridici. La sua opera costituisce dunque un ponte tra la precedente indagine storica – cercando, a differenza del Salvioli, di trovare non solo gli elementi di continuità, ma anche quelli di differenziazione tra la scuola romana e la scuola medievale – e i successivi orientamenti di studio volti a sistematizzare e valorizzare il lavoro di quegli studiosi che, negli anni compresi tra il periodo post-unitario e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si erano impegnati nel campo della storiografia scolastica, promuovendo un acceso dibattito sulle finalità dell’istruzione in un periodo segnato dalla fine del monopolio ecclesiastico sull’istruzione e la faticosa costruzione della scuola pubblica nell’Italia post-unitaria.

Questa matrice positivista negli studi sulla storia dell’istruzione permane almeno fino alla vigilia della Prima Guerra mondiale, quando a far da padrone diventa il pensiero idealista di letterati quali Benedetto Croce (1866-1952) e Giovanni Gentile (1875-1944), che mette in campo un approccio alle problematiche storiche svincolato dalla scrupolosa indagine sulle fonti. Sebbene il periodo storico in questione sia segnato da una inevitabile contrazione delle ricerche storiche in generale, e nonostante che le istituzioni universitarie fossero controllate dal potere politico, indagini molto interessanti vennero promosse da istituti come Le Deputazioni di Storia patria, finalizzati alla conservazione ed alla conoscenza del patrimonio storico delle diverse realtà italiane. Ma il primato per la ricerca dal taglio regionalista – che ancora oggi caratterizza molte delle indagini sulla storia della scuola medievale in Italia – spetta al testo Scuole superiori e vita studentesca nel Friuli medioevale del 1925 firmato dal giurista e storico Pier Silverio Leicht (1874 – 1956). É dopo la fine del conflitto infatti, che si registra un notevole aumento di contributi incentrati sulle realtà scolastiche nel Medioevo che prendono in considerazione soprattutto le regioni italiane centrosettentrionali8, in un’ottica dunque urbano-centrica, che parte dal presupposto che la didattica insegnata al vertice delle grandi città tende ad irradiarsi verso il “basso”, ovvero verso le periferie e i centri minori. Il volume della Balbi, L’insegnamento nella Liguria medievale. Scuole, maestri, libri del 1979 costituisce in questo senso, per usare le parole di Carla Frova: «un modello esemplare di indagine […] una zona geografica ben definita e storicamente coerente, un centro di interesse primario per le strutture e i protagonisti dell’insegnamento organizzato, e intorno ad esso le competenze e le curiosità (nel nostro caso riunite in una sola persona) dello studioso delle fonti letterarie e dei documenti d’archivio, del paleografo, del bibliografo»9. Stesse linee guida studiate anche da Ortalli nel suo caso veneziano, il volumetto dal titolo Scuole e maestri tra medioevo e rinascimento. Il caso veneziano del 1996: prendendo in considerazione il passaggio tra Basso e Alto Medioevo, l’autore presenta in generale il declino della scuola gratuita gestita dagli ordini religiosi e l’affermarsi dei maestri laici che impartiscono l’istruzione a pagamento; più in dettaglio mostra come le comunità del dominio veneziano intervengono subito nella gestione delle scuole, mentre a Venezia ancora per larga parte del Quattrocento l’istruzione rimane un fatto privato. Dello stesso anno è anche da segnalare il testo di Anna Maria Nada Patrone, Vivere nella scuola. Insegnare ed apprendere nel Piemonte del tardo medioevo, Torino, Gribaudo, 1996, che adotta lo stesso punto di vista verticistico.

Sarà soltanto con l’aprirsi del XXI secolo che il baricentro sulle questioni educative tardo medioevali subisce uno spostamento in direzione dei centri minori. Per approfondire lo studio delle dinamiche locali sull’istruzione tardo-medievale in Italia, gli esempi più significativi sono le opere di Duccio Balestracci, Cilastro che sapeva leggere. Alfabetizzazione e istruzione nelle campagne toscane alla fine del medioevo (XIV-XVI) del 2010 in cui l’autore rivolge il proprio interesse agli abitanti della campagna toscana, mettendo in luce una insospettabile vitalità scolastica. Così come il saggio del 2012 sull’istituzione scolastica di Federico Del Tredici, Maestri per il contado. Istruzione primaria e società locale nelle campagne milanesi (secolo XV) che fa emergere problematiche molto interessanti, sia sul piano della storia culturale e pedagogica, sia sul piano della storia sociale e politica10. Tutti i sopracitati esempi vogliono sottolineare quanto anche nei centri minori si sviluppasse una cultura didattica all’avanguardia, non solo in contemporanea, ma a volte anche in maniera autonoma rispetto a quella insegnata nelle grandi città, comunque sempre in relazione alle esigenze specifiche delle realtà autoctone.

È il 2002 quando nell’annuario bibliografico curato da Claudio Leonardi viene inserita una apposita sezione dedicata ai contributi incentrati esclusivamente sulle scuole medievali, in precedenza riuniti sotto la generica voce «Scuola e insegnamento», che li raggruppava insieme alle ricerche sulle università nel Medioevo; è questo indice di una maggiore chiarezza per meglio ordinare la molteplicità dei materiali raccolti negli ultimi decenni, segno che le ricerche sulla storia della scuola nel Medioevo hanno raggiunto una maturità tale da renderle centrali nel panorama degli studi sull’Italia medievale.

1 Ad esempio a Bologna ha sede il Centro Interuniversitario di Storia delle Università (CISUI); nato nel 1996 come struttura di coordinamento fra i diversi Istituti e Centri che operano nel settore della storia universitaria presso i vari Atenei, col fine di promuovere e sviluppare la Storia delle Università in Italia, dalle origini ad oggi,attraverso la promozione di Convegni scientifici e di una rivista di storia delle Università Italiane: gli «Annali di storia delle università italiane», pubblicati dal 1996 sotto la direzione di Gian Paolo Brizzi.

2 Nel periodo preso da lui in considerazione, Salvioli ipotizza la compresenza di tre distinte tipologie di scuole: la scuola cattedrale, organizzata intorno alla chiesa e da cui dipendevano anche le scuole parrocchiali delle aree rurali dedite ad una prima forma di alfabetizzazione rivolta anche agli umili e funzionale allo svolgimento di alcune mansioni liturgiche; la scuola monastica, che si distingueva in schola interior, riservata ai giovani destinati a divenire monaci, e schola exterior, rivolta ai laici; infine, la scuola privata, gestita dai maestri laici, di cui non ci sono pervenute testimonianze indirette.

3 Giuseppe Salvioli, L’istruzione pubblica in Italia nei secoli VIII, IX e X, Firenze, Sansoni, 1898, p. 2.

4 Salvioli, sulla base delle testimonianze raccolte, ritiene che ai magistri, ovvero maestri che insegnavano solo a leggere e scrivere, non erano degni considerati degni di essere chiamati professori spettasse un trattamento economico poco dignitoso e che essi non fossero. Se erano messi a libro paga da qualche municipio, questi maestri dovevano fare lezione sotto un portico ed erano sovraccaricati anche di altre funzioni. Se poi al pagamento provvedeva un privato, al maestro era spesso richiesto anche di fungere da segretario della facoltosa famiglia del proprio allievo. Al contrario, non dovevano invece mancare considerazione sociale e riconoscimenti economici a chi si dedicava all’insegnamento di grado superiore.

5 Si veda ad esempio Luisa Miglio, Governare l’alfabeto: donne, scrittura e libri nel Medioevo, Roma 2008.

6 Che allora rispecchiava, per dirla con le parole di Garin, il «nuovo orientamento “idealistico”, ma ancora temperato da esigenze diverse».

Cfr. la Presentazione di Eugenio Garin al testo di Giuseppe Manacorda, Storia della scuola in Italia, vol. I (Il Medio Evo), Palermo 1914 [rist. anast. Firenze 1980], tomo I, pag. 12.

7 Giuseppe Manacorda, Storia della scuola in Italia, II, cit., p. 1.

8 Ovvero la macro-area italiana allora politicamente e socialmente più progredita.

9 Cfr Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken (QFIAB) Annuario 1982, pag. 468

10 Cfr. Medioevo dei poteri. Studi di storia per Giorgio Chittolini, a cura di M. N. Covini, M. Della Misericordia – A. Gamberini – F. Somaini, Roma, Viella, 2012, pp. 275-300.