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La Basilica di Santa Maria in Trastevere sorge a lato dell’omonima piazza ed è probabilmente la prima chiesa di Roma aperta ufficialmente al culto cristiano e, certamente, la prima ad essere dedicata al culto della Vergine. Secondo la tradizione la basilica è stata fondata da papa Callisto I (217-222 d. Cr.) sulla Taberna meritoria – probabilmente un ospizio destinato ai soldati invalidi – quel luogo in cui la legenda narra sarebbe avvenuta nel 38 a. C. una prodigiosa fuoriuscita di olio dalla terra (secondo alcuni petrolio), interpretato come annuncio della venuta del Messia (l’unto del Signore). Il punto da cui si sarebbe verificata la fuoriuscita di olio è indicato in un punto del presbiterio all’interno della chiesa di Santa Maria in Trastevere, con l’iscrizione FONS OLEI.

Tuttavia, esiste anche un’altra interpretazione, meno mistica e più razionale, in merito a questa miracolosa fuoriuscita dell’olio. Uno fra i divertimenti più popolari tra le famiglie nobili e molto amato a Roma, era la naumachia (ovvero una battaglia navale con imbarcazioni autentiche che si teneva in recinti – piazze – appositamente allagati per l’occasione – famose le naumachie in Piazza Navona). Pare che l’imperatore Augusto (I secolo a.C.) avesse la sua naumachia proprio in Trastevere, per allestire la quale fece costruire un acquedotto destinato alla raccolta di acqua non potabile, FONS OLIDUS (letteralmente fonte di acqua sporca), lo stesso acquedotto che serviva per alimentare la fontana al centro di piazza Santa Maria in Trastevere – secondo la tradizione la più antica di Roma, risalente, nella forma originaria, all’epoca di Augusto  e qui sistemata per volere di Niccolò V per il Giubileo del 1450. Dunque, secondo alcuni fons olei sarebbe in realtà la corruzione di fons olidus. Inoltre, nei mosaici absidali di Cavallini viene citata la Taberna meritoria, il che testimonierebbe il fatto che l’edificio voluto da papa Callisto I fosse stato costruito sui resti di un preesistente edificio di epoca romana. La chiesa venne poi ricostruita in forme basilicali da papa Giulio I nel 340, per poi essere sottoposta a modifiche nel corso dell’VIII e IX secolo. Nei primi decenni la chiesa venne chiamata anche titulus Callixti, in onore del primo committente e in memoria del martirio che papa Callisto avrebbe subito proprio in questo luogo (venne annegato nel pozzo – quello stesso pozzo ancora oggi conservato nella vicina chiesa di San Callisto – per mezzo di una catena che gli venne legata al collo e che la tradizione vuole sia la stessa ancora oggi conservata e visibile all’interno della chiesa di Santa Maria in Trastevere). Tuttavia la struttura architettonica attuale risale alla ricostruzione di epoca medievale (XII secolo), quella cioè eseguita fra il 1138 e il 1148, con materiale di spoglio – travertini e marmi provenienti dalle Terme di Caracalla – e voluta da papa Innocenzo II, che tuttavia non riuscì a vedere ultimata la struttura (muore nel 1143). L’intervento di Innocenzo II si colloca nel nel generale clima fioritura architettonica che connota Roma a partire dal XII secolo, anche in coincidenza con la rinnovata affermazione dell’autorità pontificia. Ulteriori interventi risalgono al XVI secolo, quando il cardinale Marco Altemps fece realizzare la cappella della Madonna della Clemenza (adiacente l’abside sulla sinistra) su progetto di Martino Longhi il vecchio nel 1580-85. Nel 1702 papa Clemente XI fece edificare il portico e  modificare la facciata, su progetto di Carlo Fontana:la facciata è preceduta dal portico articolato i 5 arcate e inquadrato da due paraste e quattro colonne di granito di ordine ionico, al di sopra delle quali una balaustra sorregge le statue a tutto tondo di quattro pontefici: s. Callisto, s. Cornelio, s. Giulio e s. Calepodio.

Infine sotto il pontificato di Pio IX (1866-77) Virgilio Vespignani sottopose la struttura a un articolato restauro stilistico: a lui si deve la ricostruzione del pavimento interno a imitazione dei mosaici pavimentali cosmateschi, caratteristici del XII-XIII secolo.

Facciata:

La facciata a salienti del XII secolo presenta tre grandi finestre centinate, aperte però dal Vespignani, con coronamento orizzontale a sguscio e sormontato da timpano. Risale al XIII secolo il mosaico della Madonna in trono con Bambino (iconografia della Madonna del Latte), che il Vasari attribuisce a Cavallini, fiancheggiata da due personaggi di dimensioni più piccole e da due teorie di figure femminili, 10 donne in tutto, reggenti lampade accese a simboleggiare la verginità; 2 lampade sono spente, tra le mani di donne forse vedove. L’interpretazione di questo mosaico è oggetto d dibattito da parte della critica.

La facciata custodisce un grande orologio del XIX secolo, un campanile del XII secolo, in stile romanico, diviso in quattro ordini alternativamente decorati da trifore su pilastri e bifore su colonnine. Nell’ultimo registro in una edicola l’immagine musiva della Madonna con Bambino (XVII secolo).

 

Portico:

Nel portico ancora fino alla fine dell’Ottocento si potevano vedere armi e spiedi perché quando un bullo decideva di cambiare vita, si dice che depositava le sue armi in Santa Maria in Trastevere. All’interno di questo portico addossato alla facciata,  una raccolta di epigrafi pagane e cristiane, sculture plutei e sarcofagi della basilica antica o recuperati dalle catacombe ne coro del secolo XVIII. porta centrale è incorniciata da una cornice marmorea di età imperiale e ci sono 3 panelli affrescati, tra cui una Annunciazione attribuita a Pietro Cavallini.

Interno:

L’interno basilicale è una delle più riuscite architetture del secolo XII, permeata da un classicismo che le aggiunte cinque-seicentesche (cappelle laterali e  soffitto ligneo a lacunari realizzato da Domenichino nel 1617, con al centro l’Assunzione della Vergine entro un ottagono) e ottocentesche (la partitura a lesene della navata) non hanno alterato. L’interno è diviso in tre navate da ben 22 colonne in granito antiche di vario diametro con basi e capitelli ionici e corinzi che sostengono una trabeazione continua (continua sulla controfacciata). Alle pareti della navata affreschi dei Santi Martiri coevi alla decorazione sul fronte dell’arco (1870). Il pavimento – rifatto dal Vespignani nel XIX secolo -è in stile cosmatesco (ornamentazione caratteristica dei marmorari romani del XII e XIII secolo, consistente nell’abbellire pavimenti, cibori e chiostri mediante tarsìe marmoree policrome di forme svariate e fantasiose; nel secolo scorso questa decorazione fu chiamata “cosmatesca” perché usata dalla famiglia dei Cosmati, così detti dal nome di un membro, Cosma, importante a di marmorari romani).

1°cappella a destra: e dedicata a Santa Francesca Romana, soggetto della pala d’altare realizzata da Giacomo Zoboli, autore del XVIII secolo.

2° cappella a destra: Natività di Etienne Parrocel, autore della prima metà del Settecento.

3° cappella a destra: Crocifisso ligneo del XV secolo.

A questo punto si giunge ad una piccola nicchia addossata alla parete che da accesso al transetto dove si conservano pesi e catene, strumenti che la tradizione riferisce al supplizio dei Martiri, e tra queste secondo la leggenda, la catena che fu legata al collo di San Callisto per il suo martirio.

Entrati nel transetto (corpo architettonico che interseca perpendicolarmente all’altezza del presbiterio la navata centrale, in questo caso non è sporgente rispetto al corpo longitudinale della chiesa), si accede al presbiterio che poggia su un alto basamento con transenne e plutei cosmateschi, in parte rifatti dal Vespignani, in cui viene menzionata la FONS OLEI.

Sulla destra il Cenotafio del Cardinale Armellini, attribuibile ad Andrea Sansovino o Michelangelo Senese, comunque databile al 1524.

Andrea sansovino e michelangelo senese (attr.), monumento al cardinale francesco armellini (1524) 01.JPG L’abside è fiancheggiata da due cappelle laterali, di cui quella  destra è la cappella del coro d’inverno, progettato dal Domenichino in maniera speculare a quella di sinistra: pianta quadrangolare e volta a padiglione. Tal cappella fu progettata per conservare la pala con la Madonna della Strada Cupa (una cosiddetta “Madonna stradaiola“, cioè effigi della Madonna, che si incontrano spesso perle vie di Roma entro edicole, e che testimoniano la religiostà popolare e di quartiere. In particolare questa effige, ora in Santa Maria in Trastevere, era chiamata della strada cupa perché originariamente collocata in una strada ai piedi del Gianicolo caratterizzata da scarsa illuminazione e dedita a loschi traffici; pertanto nel XVI secolo si decise di darle la giusta importanza collocandola in una cappella appositamente costruita per ospitarla ). Sul lato destro Il riposo durante la fuga in Egitto di Carlo Maratta.

Segue a sinistra dell’abside la già citata cappella della Clemenza eretta per volontà del cardinale Marco Sittico Altemps da Martino Longhi il Vecchio: pianta ottagonale, superfici scandite da lesene, volta a padiglione riccamente ornata da stucchi e affreschi. All’altare una preziosa tavola encausto del VI-VII secolo con la Madonna della clemenza.

capella-altemps-with-altar-and-madonna-della-clemenza-in-the-basilica-CRCGK2.jpg

Da qui, l’accesso al vestibolo della sagrestia che ospita frammenti di mosaici del I secolo , probabilmente provenienti da Palestrina, secondo altri elementi utili a sostenere l’ipotesi che qui un tempo sorgesse un edificio romano.

Degna di nota è pure la 5°cappella a sinistra che, seppure è stata definita uno dei più complessi e singolari monumenti romani, difficilmente viene menzionata delle guide della città. Si tratta della cappella gentilizia Avila, appartenuta a Pietro Paolo Avila il quale, nel 1678 affiò al pittore aretino Antonio Gherardi il compito di restaurare la cappella di famiglia. Antonio Gherardi s’improvvisò architetto e, sfruttando le conoscenze dei due principali protagonisti del Barocco romano – Bernini e Borromini – realizza qualcosa di veramente fantasioso: una sorta di teatino sacro o galleria prospettica che ingigantisce il quadro di San Gerolamo, da lui stesso realizzato nel 1668 e a cui è dedicata la cappella. Ma soprattutto, la cupoletta al centro della volta circondata da una balaustra dove quattro angeli sembrano sorreggere una lanterna con colonne, incluso il secondo cupolino con al centro la colomba dello Spirito Santo.

 

Abside:

I mosaici che decorano l’abside di Santa Maria  in Trastevere sono stati realizzati al tempo di Innocenzo II (che tuttavia non riuscirà a vedere ultimata la decorazione, in quanto morirà nel 1143), che è raffigurato nel registro superiore sulla sinistra con in mano modellino della Chiesa (a testimoniare che fu lui a commissionare i lavori, una committenza ulteriormente ribadita dall’iscrizione che corre sotto la rappresentazione dei 12 agnelli, che simboleggiano i 12 apostoli, “….come l’edificio primitivo fu rinnovato da papa Innocenzo II“. Inoltre la sua tomba è collocata tra la 4°e la 3° cappella di sinistra. Tale decorazione musiva testimonia la ripresa dei modi costantinopolitani e raffigura il tema mistico dell’Incoronazione della Vergine al centro,  con accanto i pontefici Cornelio Giulio Calepodio. Sull’arco i profeti Geremia e Isaia, i simboli dei quattro evangelisti e i sette candelabri dell’Apocalisse.


Ma soprattutto la chiesa di Santa Maria in Trastevere ospita i mosaici che furono commissionati a Pietro Cavallini dal cardinale Bertoldo Stefaneschi nel 1291. Il ciclo si compone di 6 scene in altrettanti riquadri, che rappresentano gli episodi della vita di Maria: La nascita della Vergine, l’Annunciazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la presentazione al Tempio, la morte di Maria.

A questo punto dobbiamo fare un importante premessa: dopo quasi due secoli di conflitti che avevano visto la città di Roma al centro degli interessi contrastanti di papi, imperatori e popolo romano, il XIII secolo si apre all’insegna dell’equilibrio della pacificazione; la chiesa medievale raggiunge il culmine della sua potenza politica su tutta la cristianità; il papato riafferma la propria supremazia e Roma, quale centro del potere universalistico dei Papi, il suo ruolo di caput mundi. La suprema autorità del papato è alla base della contemporanea produzione artistica che raggiunge risultati più alti nell’ultimo quarto del secolo: il rinnovamento delle basiliche, la committenza di cicli decorativi, ecc. sono interventi che mostrano la consapevolezza che i papi dell’epoca avevano sul ruolo che la Roma cristiana poteva svolgere al servizio del papato. Tale universalismo necessariamente non poteva essere espresso con un’arte provinciale: la Roma della fine del Duecento accoglie  l’apporto delle correnti artistiche operanti sia nell’impero bizantino che nel gotico francese (comunque espressione di un’autorità). Un universalismo che se vuole veramente essere l’esaltazione dell’antichità della Chiesa non può e non deve rinnegare le antichità romana: il richiamo alle decorazioni della Roma paleocristiana, al suo naturalismo, ecc.. Ecco quindi che anche Roma, al pari delle città toscane, contribuisce al rinnovamento della cultura figurativa italiana. I mosaici di Cavallini sono importanti proprio in questo senso. Se per la decorazione absidale di Santa Cecilia in Trastevere Cavallini si affida all’affresco, che certamente offre notevoli spunti stilistici che il mosaico non consente – soprattutto visibile nei panneggi nella scena del Giudizio Universale -, una tridimensionalità ed una potenza espressiva di grande spessore drammatico; è proprio in questa stessa ottica che vanno intesi anche i mosaici di Santa Maria in Trastevere, che costituiscono i primi esempi di una nuova sensibilità pittorica che viene a maturare negli ultimi due decenni del XIII secolo. Cavallini cioè, come Giotto, volta le spalle alla tradizione bizantina e tede a una plasticità antica, ovvero rifiorisce in lui un interesse verso la spaziosità  e la maestosità proprie dell’arte antica, un interesse in auge a Roma, certamente sostenuto da un clima trionfale presente nella capitale dopo la sconfitta di Carlo d’Angiò. I parametri i più importanti di questa apertura sono il recupero della tridimensionalità: in questo senso i mosaici di Cavallini mostrano un uso consapevole del chiaroscuro per dare risalto alla volumetria delle figure e la costruzione in assonometria degli elementi architettonici, seppur ancor timida. Lo sfondo è ancora un uniformante fondo aureo, di chiara derivazione bizantina, ma rispetto agli esempi costantinopolitani vi è un’impostazione nuova, non c’è più quella ieraticità e fissità che caratterizzava l’arte bizantina. Questa nuova sensibilità si può vedere bene nelle citazioni naturalistiche nella scena con La nascita di Gesù o nella tridimensionalità del trono che appare dietro la Madonna spaventata dall’improvvisa apparizione dell’arcangelo annunciante. La tecnica del mosaico con Cavallini tende ad adeguarsi a quella dell’affresco: usando filari di tessere minute Cavallini mira ad ottenere la stesa fluidità della pennellata. Il panneggio è un elemento efficace per rendere la presenza corporea.