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La via che porta al complesso monastico  dell’Abbazia delle Tre Fontane è denominata Via delle acque salvie; probabilmente il toponimo unisce la menzione delle sorgenti della zona al nome della famiglia che possedeva la tenuta in epoca tardo-latina e il luogo in cui secondo una tradizione risalente al V secolo, l’apostolo Paolo fu decapitato e la sua testa rimbalzando per tre volte fece scaturire tre fonti. E’ inoltre una strada che ricalca l’antico tracciato della via Laurentina, la più antica direttrice di scambi tra Roma e il territorio Laurentino (comprendente gli insediamenti di Trigoria, Lavinio, ecc., ovvero il centro religioso dei Latini e luogo legato alla leggenda troiana sulle origini di Roma). Sul lungo viale alberato che conduce all’ingresso dell’Abbazia, la statua a tutto tondo di San Benedetto entro una edicola, avverte che questo è un luogo di pace e invita il visitatore nel raccoglimento.

Al termine di questa via si giunge in uno spiazzo dove c’è l’ingresso al complesso monastico,  comprendente la chiesa abbaziale dei Santi Vincenzo e Anastasio, e quelle tardo-cinquecentesche di Santa Maria in Scala Coeli e di San Paolo. L’ingresso è costituito da una porta a doppio arco, di cui uno in marmo. Si tratta di una costruzione che deve far pensare ad una cinta muraria con funzioni di difesa, come si deduce dalla presenza di cardini sui montanti dell’arco marmoreo, con l’evidente scopo di sostenere una porta molto pesante. Questa costruzione è denominata Arco di Carlo Magno, edificato nel secolo VIII-IX, probabilmente su una preesistente oratorio dedicato a San Giovanni Battista. La finestra polifora al piano superiore è frutto di un restauro novecentesco degli anni 40. Sull’arco una lunetta con una Madonna in trono con Bambino a bassorilievo, datata al XIII secolo, mentre sotto l’arco il motivo che dà il nome all’arco: le pareti interne erano affrescate con una decorazione oggi quasi completamente perduta, che ricordavano la presunta donazione dei possedimenti di Maremma proprio all’abbazia da parte di Carlo Magno; secondo la leggenda, papa Leone III fece portare la reliquia di Sant’Anastasio – conservata ella chiesa abbaziale dei SS. Vincenzo e Anastasio fin dal 625 d.C. – in soccorso di Carlo Magno, impegnato a togliere Ansedonia – una frazione del comune di Orbetello – ai Longobardi. Le mura crollarono a causa di un terremoto, Carlo Magno vinse la sua guerra e il monastero per ricompensa fu dotato di ampio possedimenti in Maremma. Sulla volta invece la decorazione ad affresco prevede le personificazioni dei quattro evangelisti e i loro simboli.

Superato l’ingresso ci troviamo di fronte la chiesa dei Santi Vincenzo ed Anastasio, sulla sinistra gli edifici monastici con all’interno il chiostro risalente al XIV secolo (non visitabili; il chiostro è coperto con volte a crociera rinforzate da sottarchi su pilastri che inquadrano quadrifore con colonnine di spoglio), sulla destra Santa Maria in Scala Coeli e, percorrendo il vialetto fra le due chiese, si giunge alla chiesa di San Paolo alle Tre Fontane. Le origini del complesso sarebbero più antiche dell’VIII secolo: scavi archeologici condotti negli anni Sessanta dell’Ottocento hanno infatti documentato l’esistenza di un cimitero cristiano del III secolo e di un luogo di culto del IV-V secolo legato al ricordo del martirio di San Paolo. Il primo stazionamento documentato – quello con monaci greco-armeni – risale al  625 voluto da Onorio I, costruito per ospitare la reliquia di Sant’Anastasio trasportata qui dall’imperatore Eraclio. Il momento di maggior fioritura risale all’VIII-IX secolo quando il complesso viene fortificato con mura e dotato di una porta turrita, appunto l’arco di Carlo Magno. Nella seconda metà del XI secolo papa Gregorio VII affidò il complesso ai benedettini e successivamente papa Innocenzo II  l’assegnò ai cistercensi. E’ a questo periodo che risale la ricostruzione della chiesa abbaziale Santi Vincenzo ed Anastasio e la struttura del monastero così come oggi lo conosciamo: ricostruito secondo le regole dettate da San Bernardo da Chiaravalle è stato consacrato nel 1221. L’intero complesso continuò ad essere tenuto dai Cistercensi fino agli inizi dell’Ottocento quando l’insalubrità della zona ne causò la decadenza, culminata nella soppressione napoleonica e nel conseguente abbandono. La rinascita si data a partire dal 1867, in occasione del giubileo straordinario indetto per il 18° centenario del martirio di San Pietro e Paolo, e l’allora pontefice Pio IX ne ordinò il restauro e chiamando i monaci trappisti (ordine cistercense di antica osservanza e di clausura, che ancora oggi abita il complesso abbaziale) che provvidero alla bonifica dell’area colpita dalla malaria (per questo impiantarono gli alberi di eucalipto, ritenuti utili a creare una barriera anti malaria).

Ss. Vincenzo e Anastasio: la chiesa di San Vincenzo e Anastasio è l’unica Roma a godere del titolo di abbazia (monastero che per il diritto canonico è un ente autonomo diretto da un abate). Fondata da Onorio I nel 625 per ospitare la reliquia di Sant’Anastasio (e solo nel XIV secolo quelle di San Vincenzo) presenta una facciata a doppio spiovente in cotto con rosone centrale contornato da 5 monofore a tutto sesto e preceduto da un portico del XIII secolo con colonne in marmo e capitelli ionici  -probabilmente materiale di spoglio – architrave e pilastri angolari. Le proporzioni risultano però alterate, infatti le colonne poggiano su un doppio basamento, frutto di lavori di restauro ottocenteschi che portarono all’abbassamento del livello del pavimento di tutto il complesso.

L’interno è in caratteristico e spoglio stile cistercense, frutto dei rifacimenti risalenti al tempo di Innocenzo II. Anzitutto la chiesa presenta una pianta a croce latina, è suddivisa in tre navate da pilastri e archi a tutto sesto, l’abside quadrata con copertura a volta a botte, è fiancheggiata da due cappelle per lato che invece presentano l’uso di un leggero arco acuto,che costituiscono una novità nel panorama dei cantieri artistici romani del XII secolo. Inoltre, l’austera monumentalità – tipica dello stile cistercense – un’architettura in “stile lombardo”, caratterizzata cioè dell’abbondante uso del laterizio differiscono dalla pratica consolidata a Roma nel XII secolo e cioè l’ampio utilizzo di materiale di spoglio. Le uniche decorazioni presenti consistono in grandi figure di apostoli affrescate sulle pareti della navata centrale, che però Armellini riferisce alla scuola raffaellesca.

Santa Maria in Scala Coeli: il nome deriverebbe da una visione, un sogno avuto nel 1138 dal cistercense Bernardo di Chiaravalle: la Madonna accoglieva dopo aver salito una lunga scala, l’anima di un defunto per il quale lo stesso San Bernardo stava invocando il suo aiuto. Infatti la chiesa eretta da Giacomo della Porta per il cardinale Alessandro Farnese tra il 1581 e il 1584, sorge sul luogo dove sotto Diocleziano nel 298 avrebbe subito il martirio San Zenone su cui probabilmente era sorta una chiesa dedicata a Maria, corrispondente alla sottostante cappella commemorativa del sogno di San Bernardo. La facciata presenta gli stemmi della famiglia Farnese, la scritta Scala Coeli, ed è sormontata da un timpano su un ordine unico di lesene ioniche; è dotata di un rosone e nel cornicione è stato individuato un avanzo di pluteo marmoreo databile al tempo di papa Niccolò I (metà IX secolo). La copertura a cupola è provvista di lanterna.

L’interno è un tipico ambiente cinquecentesco: l’edificio a pianta centrale – ottagonale – con copertura a cupola è scandito da lesene ad angolo corinzie. Ci sono tre absidi e altrettanti altari dedicati San Zenone (destra), a Maria (centro), a San Bernardo (sinistra). Nella nicchia absidale dell’altare dedicato a San Bernardo è ospitata al centro la raffigurazione della Vergine in gloria e bambino fiancheggiata da santi,opera di Francesco Zucchi. Una decorazione musiva a fondo aureo del tempo del cardinale Alessandro Farnese (vedi i gigli farnesiani che ricorrono nella decorazione), poi modificato da Pietro Aldobrandini che ha inserito la sua effige inginocchiata sulla sinistra accanto a San Vincenzo Sant’Anastasio, e quella di papa Clemente VIII (Aldobrandini) a destra accanto a Bernardo, San Roberto. La scelta della decorazione musiva a fondo oro è chiaramente dettata dalla volontà di evocare il cristianesimo dei primi secoli e nel contempo allude alla cappella di San Zenone nella Basilica di Santa Prassede, provvista di una decorazione musiva in stile costantinopolitano.

Due piccole rampe portano alla cripta sotterranea costruita sull’antico cimitero dove avvenne il martirio di San Zenone (tribuno romano che insieme a oltre 10250 compagni dopo aver costruito le terme imperiali vittima della follia omicida di Diocleziano nel 298). Ai lati dell’altare due finestre danno l’accesso a due diversi ambienti: quella di sinistra lascia intravedere un altare pagano dedicato a Dia – divinità agricola romana cui tributavano culto degli Arvali (sacerdoti romani); quella di destra mostra le tracce di un cimitero cristiano considerato l’ultima prigione di San Paolo prima della decapitazione.

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Chiesa di San Paolo: eretta forse nel V secolo sul luogo dove l’apostolo subì il martirio, come recita la grande targa marmorea posta sull’architrave della facciata sopra il portale d’accesso: “luogo del martirio di san Paolo apostolo dove tre fonti sgorgarono miracolosamente”. La leggenda infatti narra che la testa dell’apostolo Paolo, decollato, abbia rimbalzato per tre volte per terra prima di fermarsi e che ad ogni balzo dal suolo sia scaturita una polla d’acqua: la prima calda, la seconda tiepida e la terza fredda. Sulle Tre Fontane che conservarono per lungo tempo queste differenti temperature, furono erette edicole a ricordo del miracolo avvenuto. L’aspetto attuale lo si deve al cardinale Pietro Aldobrandini che la fece ricostruire da Giacomo della Porta fra il 1599 e il 1601, in un elegante alternarsi di mattoni e travertino, utilizzato per gli elementi decorativi del portale, delle cornici e dei capitelli. Due statue di San Pietro e Paolo coronano ai lati del timpano la facciata del vestibolo,  realizzate dal Franciosi (autore manierista romano e dunque collocabili a cavallo fra il XVI e il XVII secolo). La facciata della navata invece è coronata da un timpano curvo con volute laterali.

La pianta di questa chiesa ripropone lo schema del vestibolo e una nave traversa; quest’ultima termina con due cappelle absidate all’estremità e abside al centro. Lungo la parete di fondo, in corrispondenza dell’abside centrale dove sono situate su tre diversi livelli che testimoniano l’antica pendenza del luogo Le Tre Fontane sulle quali furono edificate tre edicole, disegnate da Giacomo della Porta, a forma di nicchia, con colonne di marmo nero di Chio, sovrastate dallo stemma Aldobrandini, su ognuna delle quali è scolpita la testa di San Paolo. Nell’angolo a destra vicino alla prima edicola, protetta da una cancellata vi è la colonna a cui sarebbe stato legato San Paolo durante il suo martirio. Sull’altare di sinistra la pala con La Crocifissione di San Pietro copia di Guido Reni (l’originale trafugato dai francesi durante l’invasione napoleonica, è stato recuperato e collocato nella Pinacoteca Vaticana). In occasione del restauro promosso da Pio IX nel 1867, il bellissimo e ampio mosaico policromo del II secolo, proveniente da Ostia Antica, dotato di personificazioni delle quattro stagioni fu collocato al centro della navata.

Tre Fontane San Paolo alle Tre Fontane | da The Pinoy Traveller

I CISTERCENSI:


Il monachesimo ha avuto uno straordinario sviluppo a partire dal VII secolo, s’intreccia alle contemporanee vicende politiche e subisce un notevole impulso all’epoca di Carlo Magno con l’ordine benedettino. Proprio dell’Ordine benedettino un gruppo di monaci alla ricerca di una nuova forma di vita religiosa dettata da una osservanza più severa della regola di San Benedetto da origine ad una nuova comunità monastica in Borgogna. Tra le prime abbazie dell’ordine il monastero di Chiaravalle guidato da Bernardo, primo abate e figura importantissima che diede un contributo fondamentale alla diffusione dell’ordine in tutta Europa e al consolidamento del suo assetto organizzativo: ogni abbazia cioè doveva essere autonoma, ma legata alle altre da legami di fratellanza e sotto il controllo del Capitolo Generale. Divise in congregazioni ebbero storicamente un ruolo importante nelle crociate e nella formazione dei Templari. Per quel che riguarda l’architettura, l’ordine cistercense assume delle caratteristiche proprie: in pianta schema razionale basato sul quadrato. Le chiese abbaziali adottano una schema longitudinale con transetto trasversale che determina una croce latina. Minimo utilizzo delle decorazioni e suddivisione dei vari ambienti (sala del Capitolo, refettorio, chiostro, dormitorio, ecc.).